Diari della notte – le voci inquiete [25]

abbozzo una serenità che non mi riconosce
e profuma di pane il racconto che ha degli aghi
la stessa cura misurata a dita morbide di pace
notte illuminata a giorno da batuffoli imbevuti
di sacro – nel profano amorevole farmi paglia

G-Moel
G-Moel

minimalismi asserragliati nella parola
resta un portapenne, sbeccato
ed una voce nascosta nelle orecchie di carta

Si apre in continuazione un intervallo fra sé e l’atto, fra l’atto e la cosa. Si cessa per sempre di essere interi. Non si sarà mai più tutt’uno con ciò che si fa. Non vi sarà più saldatura fra il sé e l’essere. Perché non ci sarà mai più essere nell’antico senso della parola. Tutto è diventato apparenza? No. Ma più niente è, più niente assomiglia a quel che era prima. Non è il reale a essere trasfigurato, è il vuoto.

– Quaderni 1957-1972, Emil Cioran.

posso raccontare alla mia notte di cosa sa il bordo che fa le fusa e di come una nuvola sia la giusta dose, centellinata per l’accuratezza della mia parola, una sorta di guerra tracciata sulla guancia e che tengo sul bordo d’acqua racchiuso in valige davanti all’orlo di casa
curve di pelle nel vizio smussato dal tuo occhio baciato, pace sottoposta alle perle dove ombra cuce abiti su misura in queste notti che accadono, c’è un raccapriccio da incollarti addosso come lana, zuccherandomi di nero i miei gesti.

Si sentiva invisibile, inadatta, incompresa.
E’ il destino di tutti quelli che sentono troppo,
il destino di tutti quelli che amano troppo.
La via obbligata del troppo pensare è veder svanire,
sotto un velo di incomprensibilità,
questo illogico mondo

e restare irrimediabilmente soli.

Anton Vanligt

la memoria rintraccia una scelta, come quando
ci si abbraccia nella gratuitità di un ricordo
congiunzione che raccoglie un filo dopo l’altro
fino a sapersi come una bocca che mastica forme

Diari della notte – le voci inquiete [2]

Poi si diedero dei tempi
una palude di mani – mentre la notte si accatastava
in un covo di vipere innamorate

Ore che restarono inappetibili anche per la voce –
quante lamentele teniamo sui palmi e nelle ferite

Un chiodo da calzolaio ficcato da qualche parte in fondo
alla carne senza romanticismo come un fatto naturale  il desiderio
stringe fra le mani una vita sente che muore
per la nostalgia della bellezza senza le mani
proprio un dolce desiderio di male a farti godere
di essere stata poca cosa e continuare ad  esserla

(Iole Toini)

I nomi che restarono
invasero platealmente la mia memoria
resta-mi nella vergogna
nella nudità appiccicata come un groppo in gola

intenerita – in questa profondità
allego alle mie motivazioni
l’indecente equilibro dei silenzi

tutti, uno ad uno spietati
come artigli – svaporano
le mie stesse nudità

il mio terrore è un tamburo che batte il tempo – come una conseguenza distratta per omissione.

Noi non abbiamo scelta se non tra verità irrespirabili e imbrogli salutari. Soltanto le verità che non permettono di vivere meritano il nome di verità. Superiori alle esigenze del vivente, non accondiscendono ad essere nostre complici. Sono verità “inumane”, verità da vertigine e che si respingono perchè nessuno può fare a meno di sostegni camuffati da slogan o da dei.

– Squartamento, E. Cioran –